martedì 22 marzo 2011

CRONACHE DI UN VENDITORE FOLLE Una giornata "tipo".

Mentre Salemi mi sta indicando la sua figura tra quelle degli agenti sorridenti nella foto di gruppo scattata alla festa della vendita del 1990, ecco bussare alla porta dell'ufficio: "è arrivato il Capo Gruppo!" esclama voltandosi di scatto verso di me. Di fronte a me compare un uomo sulla trentina con i capelli gellati e a spazzola, lampadato a puntino e con indosso un completo gessato, che dopo avermi squadrato si presenta con fare risoluto ma apparentemente distaccato: "piacere, io sono Enrico Morando". Salemi, senza indugi, ci invita a sederci e inizia a parlare rivolgendosi a me, spiegandomi che per alcuni giorni sarò in "Zona" assieme a Morando, il quale mi darà una dimostrazione pratica di come si svolge l'attività e mi dirà, quando lo riterrà opportuno, quando iniziare a suonare i campanelli da solo e ad interagire con i clienti. Salemi è piuttosto sbrigativo; i colleghi sono già al "Bar di Zona" che aspettano, così dopo dieci minuti scarsi si alza battendo le mani e ci invita con tono brioso ad iniziare la giornata di lavoro.
Una volta usciti dall'ufficio del Capo Distretto e scesi in strada, Morando mi indica la sua Mercedes Benz posteggiata a pochi metri dal punto dove eravamo, ed inizia a farmi alcune domande riguardo alla mia esperienza londinese  esprimendo alcuni apprezzamenti, non facilmente decifrabili da parte di una persona appena conosciuta, sul mio abbigliamento, in particolare sulla mia giacca di velluto blu, che evidentemente lo ha colpito molto. Mi dice che si vede che sono molto "British" ed io, pur non essendo particolarmente permaloso, inizio ad avere la vaga sensazione che mi stia prendendo per il culo: glielo chiedo pacatamente e lui mi risponde che vuole semplicemente dire che il mio modo di vestire non è propriamente tradizionale, ma un po bohémien. Poi entriamo in macchina e Morando inizia a descrivermi la giornata tipo dell'agente folletto, la vita di gruppo insieme ai colleghi, il metodo di acquisizione dei clienti e molte altre caratteristiche tipiche dell'attività di vendita diretta. Vengo a scoprire che il "Bar di Zona" menzionato poco prima da Salemi è un punto di ritrovo fisso per gli agenti di un gruppo, che nel periodo di tempo in cui agiscono in una certa area della città, per comodità, si ritrovano tutti i giorni, alla stessa ora nello stesso bar, preferibilmente una tavola calda o una trattoria, dove fanno colazione, pranzano, si ritrovano alla sera alle 20:00 per fare un resoconto della giornata e depositano le valigie con dentro i vari apparecchi del folletto se non hanno una macchina. Il gruppo di Morando copre l'intera zona del Ponente della città e una buona parte della Zona Nord, arrivando anche in alcuni punti del basso Piemonte. Mi chiede se ho la macchina e quando gli rispondo che ho la patente ma non guido da molto mi guarda di sbieco. Poi prosegue spiegandomi che nel suo gruppo attualmente, oltre a lui ci sono tre venditori molto esperti, ma che sta cercando di aumentarlo numericamente perché è ambizioso e desidera avere una schiera di collaboratori coesa, determinata e costituita da venditori forti. Mi racconta anche della sua esperienza personale in folletto, dicendomi che quando ha iniziato a vent'anni i suoi genitori storcevano il naso perché avrebbero preferito che si laureasse, ma una volta visti i primi risultati hanno cambiato atteggiamento. Aggiunge altri concetti già espressi da Salemi durante il primo colloquio, ripetendo pressoché le stesse parole e in quel momento inizio a sospettare un primo accenno di lavaggio del cervello.
Arrivati al bar di Zona - che in realtà è una cucina casalinga situata in un piccolo paese sulle alture della città, con tanto di bar e negozio di alimentari, gestiti dalla stessa famiglia - Morando mi presenta agli agenti del suo gruppo: Pittaluga, riccioluto e sui trentacinque anni, Pastrelli, un uomo tozzo e con un pizzetto ben curato di circa quarant'anni e la signora Morfeo, "la più anziana del gruppo ma anche la migliore "mi dice sghignazzando sottovoce Morando facendosi tuttavia sentire appositamente dagli altri due. Dopo le brevi presentazioni, colazione e mini-riunione durante la quale Morando invita tutti a dare il meglio perché il mese contabile è appena iniziato e bisogna alzare la media di vendita, per sè stessi e per dare una dimostrazione al nuovo - e mi indica - che in folletto si vende e si vende tanto. Detto questo si alza e mi invita a salire nuovamente in macchina, perché oggi mi farà vedere come si svolge una "giornata tipo".
Il Capo Gruppo sembra avere decisamente la situazione sotto mano; dopo aver giudato con scioltezza tra stradine strette, ripide e male asfaltate si ferma all'altezza di un complesso di case e dopo essere sceso dalla Mercedes si avvicina con passo deciso al cancello di una di queste, dove dall'altra parte c'è un Beagle un pò attempato, che zoppicando gli si avvicina abbaiando. Dopo pochi secondi una signora sulla settantina si affaccia da uno dei due balconcini e Morando si presenta: "buongiorno signora, sono Morando, può scendere un attimo?" La signora, interdetta, scende senza aggiungere una parola e una volta di fronte al cancello chiede a Morando che cosa vogliamo, con tono brusco. L'esperto venditore non si scompone e con un ampio sorriso le risponde che lui è Morando ed io sono un suo collega; siamo due agenti di zona della folletto e stiamo passando anche da lei per pubblicizzare un nuovo prodotto. " Nei negozi come ben saprà noi non ci siamo, così ogni anno passiamo per informare i nostri clienti riguardo alle novità." La signora ci guarda entrambi e poi, con un'espressione compiacuita dice ad alta voce che il folletto ce lo ha già, lo ha comprato quando si è sposata, funziona ancora benissimo e non ha intenzione di cambiarlo. Ci ringrazia e si accinge a rientrare in casa, ma Morando ha altre carte a sua disposizione: "Ah bene signora, vedo che è già nostra cliente...se il folletto le funziona così bene dopo tanti anni allora sarà rimasta soddisfatta di noi...spero che ci abbia fatto una bella pubblicità nei dintorni. Visto che mi diceva che è già nostra cliente...ha mica bisogno dei sacchetti di ricambio?" La signora, più rilassata rispetto a qualche attimo prima, sembra rifletterci, poi esclama: "Mah non so, ci dovrei guardare." "Guardi, oggi io e il mio collega siamo da queste parti perché dobbiamo andare dalla signora Maria, che abita dopo la piazza della Chiesa...senza impegno...verso le tre la troviamo?" "Mah sì a quell'ora resto a casa, ma quanto costano i sacchetti scusi?" "Adesso non ho il listino dietro...guardi...alle tre passo da lei le dico quanto costano e se mi offre un caffè le porto anche una confezione di profumini e le faccio vedere senza alcun impegno una nuova spazzola per il pelo del cane, visto che lei ha il cane. E' un beagle,vero? Pensi che anche io ne avevo uno quando ero bambino, ci ero affezzionatissimo. I beagle sono tra i cani più belli che ci siano e sono anche molto intelligenti...allora  lo offre un caffè a me e al mio collega oggi alle tre?" "Eh va bene( allargando le braccia in segno di resa ), passi pure, però non compro niente che sia chiaro!"
Morando mentre la signora si volta guarda il cognome sul citofono perché non le ha chiesto come si chiama: "Rossi, segna signora Rossi alle 15:00 sull'agendina". Nel giro di tre ore scarse suoniamo tutti i campanelli e bussiamo alle porte dell'intera borgata, parlando con circa una ventina di persone, quasi tutte anziane e quasi tutte donne, riuscendo a fissare cinque appuntamenti per il pomeriggio stesso. A mezzogiorno e mezzo Morando guardando l'orologio dice che possiamo tornare al Bar di Zona per mangiare ed appena entrato in macchina mi chiede, soffiando sulle lenti degli occhiali, quali sono state le mie prime impressioni riguardo all'attività.
Dopo aver abbondantemente pranzato ed ascoltato i miei nuovi colleghi discutere di cose ancora incomprensibili come la classifica progressiva, la promozione EB del mese di settembre e di quadruple e magnifiche, esco dal locale per fumare una sigaretta insieme a Pittaluga e Pastrelli, con i quali inizio a fare conoscenza. Ma Morando è scatenato e appena vede che sto per spegnere la cicca mi fa cenno di entrare in macchina perché dobbiamo andare dalla signora Rossi. L'appuntamento sarebbe alle tre ma il Capo Gruppo preferisce anticipare: "E' meglio cuocerli e mangiarli subito" mi dice mentre sta per girare la chiave.
Così alle 2:30 siamo dalla signora Rossi, che viene ad aprirci subito e ribadisce, mentre ci apre il cancello che le servono solo i sacchetti e che non compra altro. Entrati in casa c'è anche il marito ad accoglierci, e anch'egli, ancor prima di presentarsi, ripete il concetto già espresso dalla moglie: "Guardate che non compriamo nulla!" Morando serafico, sorride, ed inizia a parlare del più e del meno con la signora Rossi e col marito: si vede che è esperto e riesce a parlare del nulla con naturalezza ed apparente divertimento.
Dopo alcuni minuti di chiacchiere riguardanti la vita agreste, la differenza tra il pesto con o senza basilico di Prà e gli uomini politici di destra e di sinistra che sono tutti uguali, Morando mi dice di aprire le valigie e poi rivolgendosi alla signora Rossi esclama: "Prima di farle l'ordine per i sacchetti le lascio un'informazione!" Il marito della signora Rossi, appena mi vede aprire la cerniera di uno dei due valigioni assume per un attimo un'espressione di terrore, ma non ha neanche il tempo di aprire bocca perché Morando è già in piedi ed ha la situazione sotto mano: "Adesso rilassatevi e fate come se foste al cinema: io lavoro e voi guardate, così facciamo vedere anche a questo ragazzo che è nuovo del mestiere come si lavora!" Morando mentre monta l'aspirapolvere sostituisce l'involucro del sacchetto con una parte trasparente per dimostrare il risultato, pone alcune domande alla signora riguardo ai suoi metodi di pulizia, facendo uscire fuori alcuni problemi che non riesce a risolvere e portandola, senza essere invasivo, al punto di dichiarare apertamente che le farebbe piacere trovare qualcosa che le permettesse di fare meno fatica e risparmiare tempo.
Ottenuto quello che voleva, cioè la consapevolezza che la signora Rossi non è soddisfatta di quello che ha, Morando passa la scopa elettrica sul pavimento della cucina per un minuto scarso, poi spegne il folletto e tira fuori dall'involucro dimostrativo un panno che aveva appositamente messo prima di iniziare il lavoro: quando la signora Rossi vede sul panno più di un centimetro di polvere, oltre a briciole e peli del cane non sembra  credere ai suoi occhi. Si gira verso il marito e inizia a scuotere la testa dicendo di aver fatto le pulizie in mattinata. Morando sta ottenendo quello che vuole e, vedendo che il marito cerca di appartarsi restando in silenzio, lo coinvolge facendo qualche battuta ogni tanto, chiamandolo per nome. Adesso l'abile venditore sostituisce la scopa con un altro pezzo a cuore inserendola nella base aspirante, presentandola come una lucidatrice a "secco", dopodiché prima di utilizzarla sfrega un foglietto bianco sul pavimento nello stesso punto dove aveva appena passato il folletto, spiegando alla signora Rossi che l'inquinamento esterno è talmente grasso da non permettere ad un semplice aspirapolvere, seppur di qualità, di eliminarlo. Quando a fine lavoro, il panno è nuovamente sporco, la signora Rossi sembra perplessa e chiede per quale motivo sia ancora sporco nonostante il passaggio di poco prima. Morando le chiede quando ha passato lo straccio l'ultima volta e la signora, che nel frattempo sembra sentirsi in imbarazzo, risponde che lo ha passato la mattina stessa. Morando, avendo notato lo spaesamento della signora Rossi, la rincuora, dicendole che non è colpa sua se per terra rimane un residuo di sporco anche dopo il aver passato lo straccio: il problema è che le polveri sottili, l'inquinamento moderno, in parole povere, è molto più appiccicaticcio di una volta e i metodi tradizionali non sono più efficaci, per la signora Rossi come per la vicina di casa; per chiunque insomma. Detto questo la invita a passare un altro foglietto, che prontamente le porge, nel punto preciso dove ha appena usato la lucidatrice e la signora Rossi, dopo averlo fatto vede con stupore che il foglietto è totalmente bianco, perfettamente pulito. Morando allora spiega alla signora Rossi e al marito con parole semplici il funzionamento dell'apparecchio e poi, dopo alcune domande sulla battitura del materasso, chiede rivolgendosi al marito se possono accompagnarlo in camera da letto. Il marito fa cenno di sì con la testa, ormai rassegnato di fronte a quello che inizialmente pensava non potesse verificarsi.
In camera da letto Morando alza la coperta e  toglie la federa del materasso, poi ci passa sopra un motore che si chiama EB, che insieme al motore centrale del folletto serve alla battitura del materasso. Il lavoro dura un minuto abbondante, durante il quale per mantenere alta l'attenzione dei due Morando parla ad alta voce, sovrastando il rumore del motore. Alla fine il Capo Gruppo porge alla signora Rossi e al marito un panno colmo di una polverina bianca, chiedendo loro cosa pensano che possa essere. I due sono increduli e non sanno rispondere, così Morando taglia corto e, facendosi porre da me un accendino, brucia la polverina bianca, che emana un odore nauseabondo di pollo fritto. Il signor Mario, così si chiama il marito della signora Rossi, a questo punto sembra essersi incuriosito e vuole sapere cos'è quello schifo: "pelle morta, residui organici e i famosi acari, che non si vedono ma ci sono e creano anche allergie, oltretutto". Gli risponde prontamente Morando. "Quanto costa?" esce allo scoperto la signora Rossi, col marito che le lancia un'occhiata glaciale pensando di non essere visto. "Poi glielo dico," risponde il consumato venditore, che nel frattempo mi fa cenno di prendere un tubo nella valigia e un oggetto a forma di navicella che lui chiama "picchio". Inserisce il tubo al motore aspirante, poi lestamente ci attacca il picchio e dice alla signora che sta per farle vedere un prodotto che spazzola i divani, i tessili ed è utile anche per gli impagliati. Dopo aver passato l'elettrospazzola su uno dei divani in salotto porge alla signora e al marito il panno pieno di polveri e di peli del cane, dicendo loro che è la ciliegina sulla torta del sistema folletto, unico apparecchio al mondo in grado di prelevare dai tessili il pelo degli animali. La signora Rossi chiede per la seconda volta quanto costa e Morando, indicando il tavolo in cucina, dice ai due di sedersi. La trattativa dura non più di cinque minuti, interrotta solamente da un attimo di esitazione del signor Rossi, che dopo aver provato a persuadere la consorte a comprare solo l'aspirapolvere e la lucidatrice, si è dovuto arrendere di fronte all'abilità di rilancio del venditore, ma soprattutto alla convinzione della moglie. Così i coniugi Rossi acquistano l'intero sistema di pulizia con tre anni di forniture di sacchetti, per la modica cifra di 1.660.00 euro, convinti di aver avuto un trattamento d'eccezione in quanto già clienti, e prima del nostro congedo, ci offrono il caffè promesso in mattinata.
Mentre Morando risistema le valigie nel bagagliaio della sua Mercedes si volta verso di me dicendomi: "Hai visto che non è difficile vendere il folletto? Basta un pò di buona volontà, cortesia e pazienza; per le competenze poi verranno col tempo!"
La mattinata continua all'insegna delle dimostrazioni: altre tre, in una delle quali Morando vende ad un'anziana vedova scopa elettrica e lucidatrice. Altre due dimostrazioni non hanno un buon esito, mentre l'ultimo appuntamento, quello delle 19:30, salta perché il marito della signora acquisita al mattino, ci ha praticamente cacciato via senza farci entrare.
Mentre rientriamo al bar di Zona il Capo Gruppo mi dice che se tutti i giorni si fa un'attività del genere si arrivano a guadagnare circa cinquemila euro al mese. "Abbiamo preso cinque appuntamenti, fatto quattro dimostrazioni, concluso due ordini e venduto sei apparecchi: questa è la nostra attività e vedrai che tra non più di due settimane inizierai a vendere da solo anche tu!" Arrivati al bar gli altri sono lì ad aspettarci e tutti hanno venduto: inizio a desiderare di vendere e senza rendermene conto, proprio in quel momento, inizio anche ad entrare in un vortice!

lunedì 21 marzo 2011

CRONACHE DI UN VENDITORE FOLLE "Acquisire, dimostrare, vendere".

Tutto è cominciato una sera di settembre del 2007 alla Festa dell'Unità di Genova: stavo vagando solitario tra uno stand e l'altro con una birra media in mano e mi stavo chiedendo da un pezzo cosa ci facessi lì. Ero da circa in mese tornato da Londra, dove avevo lavorato in alcuni ristoranti come aiuto-cuoco per mantenermi, o meglio per sopravvivere, nella capitale inglese insieme alla mia ormai ex ragazza e non riuscivo proprio a riavvolgere il filo. I miei amici di un tempo avevano cambiato tram tram, le serate nei vicoli che tanto mi avevano divertito in passato erano ormai una ripetizione forzata, un'abitudine anacronistica di un tempo che non c'era più ed io mi stavo autocompiacendo della mia solitudine. Mentre stavo fissando un panzone con la camicia pezzata che addentava un panino con la porchetta sento improvvisamente urlare il mio soprannome:"Ah Reggio!" Mi guardo un pò intorno e noto una sagoma in giacca e cravatta con le mani in aria dietro allo stand della Folletto: "E' lui o non è lui?" Penso immediatamente. Mi avvicino e in un attimo mi rendo conto che è proprio lui: Francesco Selis. Io e Francesco da ragazzini abitavamo nello stesso quartiere e per due anni abbiamo giocato insieme nella stessa squadra di calcio. Poi di lui, per dieci anni circa nessuna notizia, se non quella che aveva fatto carriera al folletto. E adesso eccomelo lì davanti : "Oh Reggio, come va? " mi chiede.  "Di merda! Mi fa piacere rivederti ma sinceramente va abbastanza di merda!" gli rispondo io.  E gli racconto velocemente la situazione. Dopo avermi ascoltato Francesco mi propone un colloquio con un responsabile dell'azienda, aggiungendo con tono estremamente convinto che lui da quando lavora al folletto si è tolto un sacco di soddisfazioni, economiche e professionali. Dice anche di aver provato a cambiare lavoro e di essere diventato capo reparto in un supermercato, ma la vendita gli dava più andrenalina, così è tornato sui suoi passi. Sapevo che quello che mi stava dicendo non era inventato, ma sapevo anche che Francesco aveva un carattere completamente diverso dal mio; inoltre avevo già conosciuto parecchie persone reduci da un'esperienza lavorativa con il folletto e tutte ne erano uscite, a loro dire, frustrate e deluse, se non sull'orlo di una crisi di nervi. Pensai che non era un lavoro adatto a me, ma simulai entusiasmo ed accettai senza esitazioni lasciandogli il mio recapito.
Il giorno seguente nel primo pomeriggio ricevo una telefonata sul cellulare da un tale che si presenta come Fabio Moretti e dice di essere il responsabile della vendita Vorwerk nell' Area Liguria. Io fingo nuovamente entusiasmo ed impostando il tono della voce rispondo ad alcune sue domande riguardo alla mia opinione sulla vendita diretta. Dopo poco Moretti mi chiede se sono interessato ad approfondire la cosa in ufficio, io ovviamente rispondo di sì.
Appena entrato nell'ufficio commerciale della Vorwerk Folletto un impiegato stempiato con una pila di fogli in mano mi indica con la penna di dirigermi a destra. Alla mia destra c'è un breve corridoio con una sfilza di sedie disposte lungo una delle pareti e, in fondo ad esso, un gruppetto di persone, tra cui una ragazza bionda e tarchiata che sta fissando il soffitto. Mi presento alla apparentemente poco euforica combriccola e subito dopo, forse condizionato dal fatto che tutti stanno guardando in una direzione diversa e senza fiatare, mi siedo e aspetto di essere chiamato. Dopo un numero imprecisato di secondi noto che la parete dietro di me è interamente tappezzata di lavagne magnetiche, su ciascuna delle quali sono sistemate delle targhette con dei cognomi. Non solo: ogni cognome è seguito da una serie di palline rosse. Alcuni  ne hanno sessanta, ottanta, addirittura cento, mentre altri solamente quattro o cinque. Dando per scontato che i cognomi appartengano ai venditori operanti nella zona non riesco ad immaginare cosa possano indicare tutte quelle palline...poi fissando la parete che avevo di fronte inizio a leggere una serie di solgan aziendali che fino a quel momento mi erano sfuggiti: "Acquisire, Dimostrare, Vendere", oppure "Il lavoro di gruppo rende l'agente felice", e ancora "Tenacia, Ambizione, Competenza: le prerogative dell'agente Folletto." A questo punto comincio a capire che quelle palline riguardano i risultati di vendita e proprio in quel momento un uomo intorno ai quarantacinque anni sbuca dalla porta del suo ufficio chiamando il mio nome con tono deciso: "Reggiani!"
Il discorso introduttivo del Capo Distretto è quasi commovente: se fossi capitato in quel posto in qualunque altro momento della mia vita avrei certamente avuto un rigetto violento ed immediato, ma quel giorno, chissà per quale motivo la cosa mi affascina. Salemi esordisce con un monologo autocelebrativo di presentazione aziendale, tessendo le lodi del prodotto leader da oltre 70 anni nel mercato degli aspirapolvere etc. Terminata la fase introduttiva vuole sapere qualcosa in più su di me, dicendomi di essere rimasto incuriosito dal mio curriculum, in particolar modo dai miei svariati hobbies ed inizia a farmi alcune domande per verificare se veramente ho così tanti interessi oppure se sono un contapalle che scrive cazzate su un foglio solo per darsi un tono ed impressionare. Avendo letto che tra le mie passioni ci sono la lettura, la musica e la cucina mi chiede con sguardo malizioso di Dostoevskij, Kundera e Gioachino Rossini ( che erano citati sul curriculum ) e vuole sapere nei dettagli come preparo alcune ricette. Mentre sto rispondendo alle sue domande, intuisco subito che probabilmente l'unica cosa che quell'uomo ha letto in vita sua è  l'opuscolo mensile aziendale che tiene in bella mostra sulla sua scrivania, così inizio a dire un sacco di stronzate, per vedere se mi corregge. Gli dico che Kundera è uno scrittore dell'Ottocento e che il suo capolavoro è considerato "La Montagna Incantata" e che l'opera più celebre di Rossini è "Il Falstaff". Moretti non batte ciglio e mi guarda con una certa ammirazione. Quando poi mi chiede quanti libri leggo in un anno ed io gli rispondo circa un centinaio sbarra gli occhi. Esprime la sua stima nei miei confronti per la mia iniziativa di essere stato a Londra per lavoro etc,etc, ma ad un certo punto si blocca e cambia espressione esclamando: "Adesso che ci siamo conosciuti però è il momento di parlare di cose serie:questo è un lavoro per gente con le palle. Qui si parla di vendita, vendita diretta. Questo lavoro è faticoso e mette in gioco molte energie e molte capacità. La Vorwerk è un'Azienda  di business, che fa fatturato: qui quello che conta non è quello che sei, ma quello che fai. Se poi tu hai tanti interessi tanto di cappello, ma questo lavoro lo può fare l'ex imbianchino, come l'intellettuale, come quello che ha solo la licenza elementare. Qui servono motivazione, serietà e costanza. Apprezzo molto il tuo modo di presentarti: si vede che sei una persona che sa stare in società e parli con una certa proprietà di linguaggio; e a questo punto mi vieni spontaneo chiedermi per quale motivo a 29 anni tu non abbia trovato ancora un lavoro stabile. Probabilmente non ti è ancora capitata l'occasione giusta, oppure non ti sei impegnato troppo...beh, qui l'opportunità c'è! Ovviamente sono richiesti dei sacrifici, ma come ben saprai  nessuno ti regala niente e difficilmente troverai in giro un'altra azienda che senza richiedere competenze di alcun tipo ti permette di realizzarti come accade da noi.
Si, si lo so già cosa stai pensando: " Eh ma bisogna andare in giro a suonare alle porte, bisogna vendere e non è mica così facile, poi c'è la crisi, la gente è diffidente etc,etc...palle!". In Folletto riesce chi ha volontà, tutto il resto non conta nulla: solo chiacchiere! Ho già fatto quattro colloqui questa mattina: arrivano qui titubanti, mezzi scoglionati...gli proponi un lavoro e sembra che ti stiano facendo un favore ad ascoltarti...quando poi gli spieghi che qui si deve vendere li vedi cascare dalle nuvole, come se fosse un'impresa impossibile. Qui abbiamo bisogno di gente motivata, sveglia, che vuole mettersi in gioco. Io faccio questo lavoro da quando avevo 21 anni e adesso ne ho 43; non mi risulta che per vendere il folletto serva una bacchetta magica o chissà quale incantesimo. Quello che bisogna fare è andare da tutti i potenziali clienti, entrarci in casa per fargli vedere il prodotto e far loro capire - non convicerli ma far loro capire - che ne hanno bisogno: a quel punto hanno già firmato. Acquisire, vendere, dimostrare, molto semplice. Tu hai tutto: hai una buona presenza, hai viaggiato, denoti una certa cultura; non c'è un motivo per cui non puoi fare questo lavoro. Cosa ti manca? Domani mattina inizia un breve stage di tre giorni che si svolgerà in questa sede a cura di un mio collega. Ci conto!".
I tre giorni di corso passarono piuttosto velocemente: a tenerlo era Sforza, un altro capo distretto della Zona, apparentemente più giocoso ed autoironico del Salemi. Il momento saliente fu quando a ciascuno di noi venne richiesto di alzarsi in piedi e presentarsi di fronte agli altri: un previsto quarto d'ora di imbarazzo che tuttavia risultò essere quasi divertente. Per il resto durante i tre giorni di incontro Sforza ci presentò il profilo dell'Azienda e le caratteristiche tecniche del prodotto, alla fine dei quali stabilì che quella dell'agente folletto non era semplicemente un'attività lavorativa ma una vera e propria "filosofia di vita": un concetto che mi fece sorridere e che avrei compreso solamente in seguito.
Terminati i tre giorni fui scelto insieme ad altri quattro ragazzi e alla ragazza tarchiata, che era la più convinta di tutti: quando qualcuno dei prescelti accennava ad un dubbio lei lo sgridava dicendo che era un'occasione irripetibile e quando io una volta le chiesi, spinto dalla curiosità, qual'era il motivo che la rendeva così sicura di riuscire ad avere successo mi rispose che lei, a differenza della maggior parte dei presenti, evidentemente possedeva quella cosa che si chiama "cultura del lavoro". Una settimana dopo il suo esordio in azienda non si ebbero più notizie di lei.

giovedì 17 marzo 2011

CRONACHE DI UN VENDITORE FOLLE Risveglio e presa di coscienza ( Capitolo I ).

E' successo di nuovo. Stamattina mi sono svegliato sudato con la consapevolezza di dover andare fino a Serravalle Scrivia a suonare tutti i campanelli delle case in giacca e cravatta per cercare di vendere quel dannato aggeggio. Poi, dopo essermi affannosamente rigirato nel letto per chissà quanti minuti e una buona dose di imprecazioni, mi sono rinsavito ed ho focalizzato la data di oggi: 16 marzo 2011.
Sono già passati due anni dal giorno delle mie dimissioni  e ancora oggi, di tanto in tanto, sogno di lavorare alla Vorwerk Folletto e di fare l'agente vendita. Per oltre un anno e mezzo ho fatto parte di questa Azienda suonando i campanelli dei quartieri più disparati della mia città e provincia, toccando anche alcune zone del  Piemonte, entrando ogni giorno nella vita privata delle famiglie con un unico intento: vendere.
Il Folletto per quei pochi che ancora non lo conoscessero è un vero e proprio sistema di pulizia per la casa o per l'ufficio, spesso in maniera più sintetica definito semplicemente "aspirapolvere". La casa produttrice del folletto ( Kobold nell'originale nome tedesco ) fa capo alla Germania, precisamente a Wupperthal, una città nei pressi di Colonia. La Vorwerk produce oltre al già citato sistema di pulizia una vasta gamma di prodotti, tra cui il celebre Bimby; robot da cucina tuttofare idolatrato da casalinghe indaffarate, donne in carriera e più in generale amanti della cucina con poco tempo da dedicare ai fornelli, tappeti, prodotti cosmetici ed altro ancora ed è piuttosto conosciuta in oltre 60 paesi del mondo. Dei prodotti Vorwerk il folletto, oltre ad essere il più noto al grande pubblico, è l'unico che viene venduto con il metodo del "porta a porta". La strategia aziendale infatti da sempre prevede una capillare tecnica di vendita diretta attuata tenacemente da accattivanti e spregiudicati agenti accurati nel vestire e fluidi nella parlantina. Si può dire che il folletto per anni (e in parte ancora oggi ) sia stato una sorta di status symbol per le casalinghe ed una liberazione momentanea per i mariti. Dico momentanea perché in ogni caso l'agente folletto tornerà a suonare alla vostra porta; sia che siate clienti di nuova generazione sia che non abbiate mai avuto un aspirapolvere.Il Folletto infatti, è progettato e costruito da un Azienda smaliziata che mediamente ogni tre anni ne cambia l'aspetto estetico rendendolo così più facilmente vendibile anche ai clienti recenti ed è composto da più motori. Il sistema di pulizia completo prevede oltre all'aspirapolvere base con un motore "cuore" centrale altri tre apparecchi dotati a loro volta di motore ad esso incastrabili come pezzi di un lego: spazzola-tappeti e batti-materasso ( EB), lucidatrice ( PULILUX ) ed elettrospazzola (chiamata dagli addetti al lavori PICCHIO), oltre agli accessori per le pulizie aeree e polverine per il lavaggio a secco di tappeti e materassi. Questa varietà  permette all'agente di avere buoni spiragli di vendita anche laddove il cliente in questione abbia da poco comprato il prodotto dando oltre alla  possibilità di possedere anche quelle di aggiungere, completare e sostitiuire. La Folletto in Italia è suddivisa in una ventina di zone con nomi di costellazioni: Phoenix, Pegaso, Perseo, Lyra etc, ciascuna delle quali è controllata da un Capo Zona che gestisce e consiglia i Capi Distretto, che a loro volta hanno il compito di far rendere a meglio i loro Gruppi, diretti  da un Capo Vendita che insegna il mestiere ai nuovi arrivati e li motiva al nascere delle inevitabili difficoltà iniziali, rimotiva i venditori più anziani in crisi ed incentiva ulteriormente quelli che vendono con costanza, senza ovviamente tralasciare le vendite personali. Zone, Distretti e Gruppi sono coordinate dalla figura del Capo Area ( quattro in tutta Italia ) e ciascun Capo Area deve rendere conto al Direttore Commerciale. Questa è la piramide aziendale e l'unica maniera per scalarla per colui che è intenzionato a fare carriera in questa realtà è iniziare a vendere il più possibile il più in fretta possibile. I momenti di pausa, di appannamento o di riflessione sono mal digeriti dall'ambiente, che inizia a pressarti da subito. Prima con una certa delicatezza, in seguito in maniera sempre più prepotentemente invasiva e continua. La foga e il desiderio ossessivo di vendita iniziano ad andare presto oltre a quello che ci si può immaginare e, gradualmente, senza quasi accorgersene, ci si trova a parlare di fatturato, di classifiche e di apparecchi venduti anche durante la pausa pranzo o nei momenti extra-lavorativi, a cena con gli ex compagni di classe che ti guardano perplessi e addirittura in casa della tua ragazza che magari avrebbe piacere di stare in intimità con te facendo dell'altro.
Come stavo raccontando in precedenza questa mattina ho rivissuto una situazione già vista molte volte. Gli ultimi 8 mesi di lavoro sono stati un calvario. Infatti non mi limitavo a salire e scendere le scale dei palazzi, ad entrare nei negozi , a fermare la gente nei bar e a cercare di imbonire il marito di turno rientrante dal lavoro incazzato dalle 8:30 del mattino fino alle 20:00 di sera dal lunedì al sabato, ma evidentemente non pago prolungavo la mia giornata anche durante il sonno, inoltrandomi in svariate ore di straordinari ovviamente non pagate. Così oltre ad addormentarmi con il pensiero di vendere qualcosa il giorno successivo se non avevo venduto quel giorno, di vendere di più se stavo vendendo poco, di vendere tantissimo se stavo vendendo regolarmente, mi svegliavo con in testa una miriade di sogni che avevano tutti un unico elemento in comune: il folletto!
E così una notte eccomi impegnato in una fuga da un paesino del Piemonte alla guida di una macchina rubata dopo aver svaligiato la casa di una  vecchietta che si era rifiutata di comprarmi il folletto. La strada è sgombra e decido di dirigermi verso Tortona con la refurtiva, dove mi aspetta un'amica. La fuga sembra un gioco da ragazzi, nessuno mi ha visto e la vecchietta non so per quale motivo invece di arrabbiarsi per il furto subito mi ha persino aiutato a riempire il sacco passandomi alcuni dei suoi gioielli più preziosi che erano nascosti dentro ad un cuscino. Ad un certo momento però, noto da uno degli specchetti retrovisori una sagoma in lontananza e lentamente quella sagoma sembra avvicinarsi. Sarà qualche mezzo veloce, penso, dopotutto sono su una strada...è normale. Ma qualcosa mi turba ed inizio ad accelerare cercando di fare scomparire quella figura informe. Più accelero però e più la figura si avvicina iniziando a prendere forma. Adesso dallo specchietto mi compare qualcosa che somiglia a una moto, però più larga del normale. Ora il turbamento si è mutato in ansia ed aumento ancor più la velocità fino ad arrivare al massimo. Sono ormai ai 220 km orari ma il mezzo misterioso incredibilmente è a un centinaio di metri da me. E' un Sidecar e alla guida c'è Parodi, il Capo Zona con al suo fianco Salemi, il Capo Distretto. Improvvisamente poi mi trovo fermo ad un semaforo e loro sono lì. Di fianco a me, col motore acceso e mi guardano entrambi scuotendo la testa. Poi Salemi senza guardarmi ma voltandosi verso Parodi esclama: "Reggiani...Reggiani...mi hai deluso profondamente. Le scorciatoie sono per i mediocri!"
Un'altra volta eccomi protagonista di un' avventura nello spazio degna del miglior Isaac Asimov. Io ed altri venditori scelti eravamo stati spediti in missione su Urano per convertire gli abitanti del Pianeta all'uso del folletto, ad essi ancora sconosciuto. Viaggiavamo nello spazio su una navicella a forma di elettrospazzola per una precisa scelta di marketing aziendale, infatti in  quel modo  le navicelle in viaggio nel sistema solare ci avrebbero notato. La nostra elettrospazzola spaziale era seguita a distanza da un'altra navicella a forma di lucidatrice. Al suo interno c'era il Capo Zona Parodi, che assieme al suo staff monitorava ogni nostro movimento servendosi di mezzi computerizzati all'avanguardia. L'approdo sul Pianeta Urano non fu difficile. L'accoglienza da parte dei suoi abitanti sembrava un pò freddina. Solamente uno di loro, un essere a forma di fiasco apparentemente fatto di pelouche con in testa un cappello di pelle di giaguaro ci fece cenno di avvicinarci ad una enorme costruzione in marmo dietro di lui. Noi obbedimmo e dopo esserci sottoposti ad una specie di check-in affollato da esseri tutti uguali con il corpo da uomo e la testa da lucertola ci trovammo in un gigantesco salone riccamente arredato da arazzi con illustrazioni di guerre spaziali ed esseri bizzarri. Il pavimento era completamente coperto da tappeti dai colori vivacissimi che andavano dall'oro al rosso sangue e dopo qualche istante di silenzio l'essere ci disse che sapeva perché eravamo lì e di sbrigarci. Aggiunse anche che apprezzava il nostro sforzo ma non avrebbe comprato nulla. Allora noi un con fare risoluto svuotammo le valigie con dentro gli apparecchi ed iniziammo a spazzolare i tappeti per circa un quarto d'ora; facemmo anche il lavaggio a secco con il Kobosan, la polverina detergente.
Poi non so come d'improvviso ci ritrovammo all'interno della nostra navicella con un sacco di soldi spaziali di forma triangolare e le valigie vuote. Gli abitanti di Urano erano rimasti entusiasti del nostro prodotto e avevano comprato tutto quello che avevamo. Adesso, mentre stavamo ripartendo, ci salutavano dai finestrini e alcuni di loro facevano roteare quelle che sembravano code con un movimento simmetrico e lestissimo.
Parodi dalla sua postazione ci stava osservando: la missione si era conclusa meglio della più rosea aspettativa.
Il sogno termina con un brindisi di gruppo nello spazio insieme al Capo Zona entusiasta del nostro operato e con fuochi d'artificio che vengono proiettati su alcuni dei maxi-schermi all'interno della navicella-lucidatrice.
In un'altra occasione ancora sono in un salotto insieme a mio cugino Stefano ( che vive a Kyoto e al tempo del sogno non vedevo da almeno 6 anni ) e alcuni ignoti con i volti mascherati da personaggi della Walt Disney. Ad un certo punto Pluto esce dalla stanza e rientra quasi subito con in mano un gioco da tavola: "Cluedo". Paperino però si lamenta e sostiene che Cluedo è un gioco noioso. "Meglio Risiko!" Dice. Dal nulla interviene poi Gastone che cerca di convincere la combriccola a giocare a "Scotland Yard". "Tutti giochi del passato!" Urla all'improvviso mio cugino battendo le mani sul tavolo; poi si precipita fuori dal salotto e si ripresenta sorridente con un enorme scatola illustrata in mano. Oggi giochiamo a qualcosa di nuovo grida euforico: " Il venditore Folle!" Dopo lo scetticismo iniziale il gioco conquista tutti i presenti. Ogni singolo giocatore deve scegliere un personaggio a scelta tra venti pedine dal volto umano, ciascuna con caratteristiche somatiche differenti sul modello di "Indovina Chi", il gioco inoltre possiede alcune caratteristiche di Risiko ed ha regole che ricordano vagamente quelle del Monopoli. Ci sono soldi, strade e piazze e persino le probabilità e gli imprevisiti; solo che qui invece di acquistare e affittare proprietà lo scopo è quello di vendere più aspirapolveri degli altri giocatori e sconfinare dalla propria città alle altre fino ad arrivare all'estero e al monopolio nel mondo. La cartina da gioco è talmente grande da occupare l'intero salone e si gioca per terra. Nonostante la novità assoluta stia appassionando tutti i presenti senza una ragione mio cugino, che ha appena venduto  ad una famiglia di Parigi, prende il tavolo da gioco tra lo stupore generale e lo trascina sul terrazzo. Poi prende un fiammifero da una tasca del pigiama, lo accende e da fuoco al gioco davanti a tutti gridando: "Giù le maschere!" Paperino allora ordina a Pluto e a Gastone di rivelare la loro vera identità, ma a questo pumto il sogno si interrompe.
Mi sono chiesto molte volte il motivo per cui sono arrivato al punto di sognare alieni come clienti e personaggi usciti dal Topolino come compagni di giochi quando sarebbe bastato dare le dimissioni un pò prima e forse la risposta è proprio in questa domanda. L'importante in ogni caso è che, prima o dopo, sia arrivata la presa di coscienza.

RiccardoR

sabato 12 marzo 2011

L'ostaggio di stoffa.

Il signor Ludovico Brembilla appena rientra dal lavoro non vuole sentire volare una mosca. E'stanco e vuole godersi il sacrosanto riposo. Non vuole sentire le lamentele di Mariangela, sua moglie; "Per quelle c'è sempre tempo," pensa lievemente irritato. Non vuole ripensare alla giornata di lavoro; "Per quello c'è già tutta la settimana dal lunedì al venerdì otto ore al giorno," pensa aggrottando la fronte; ma soprattutto non accetta di essere coinvolto in cose che non lo riguardano e cerca di prevenire astutamente gli imprevisti. Così durante i rari momenti di dialogo con sua moglie cerca di captare e di intuire, possibilmente di scoprire, se c'è qualche novità o se qualcuna delle sue noiosissime ex compagne di università, le "pseudo-intellettuali", le chiama lui, si sia fatta sentire in settimana proponendo qualche uscita del tipo "andiamo al cinema" oppure "hanno aperto un nuovo locale etnico in centro" o ancora "potremmo andare a vedere il Flauto Magico di Mozart". "Sua moglie lo crede disattento e ingenuo ma non lo conosce affatto," pensa mentre si siede sul divano il signor Brembilla. Così quando sospetta o ancor meglio ha la certezza che Mariangela stia per proporgli una nuova iniziativa lui fa la prima mossa, inventando sempre una scusa più convincente della prima ed ingegniandosi fino al punto di sorprendere se stesso ogno giorno di più. Stasera Mariangela pensava di andare a cena da Giorgio e Romina, ma lui avendo ascoltato la conversazione telefonica di tre giorni prima ha iniziato a rientrare  a casa con oltre un'ora di ritardo rispetto al solito, dicendo alla moglie con aria frustrata che per una settimana avrebbe avuto del lavoro extra da fare in ufficio. "Se proprio ci vuole andare ci va da sola. Nessuno glielo impedisce," pensava mentre escogitava una scusa credibile, il signor Brembilla.
Così stasera Mariangela, visto che a cena dagli amici non ci è potuta andare, è uscita  insieme alla vicina di casa per  fare due chiacchiere e il signor Brembilla può stare tranquillamente seduto sul suo divano in pigiama sorseggiando un ottimo infuso alle erbe con un pizzico di zenzero che lui ama tanto. "Stasera c'è la Champions League, ma c'è anche l' Isola dei Famosi....e poi...c'è anche quel film che parla di nazisti...come si chiama...ah ecco: AmericaX! No. Il titolo era American Story X oppure American Story con la X da qualche parte. Qualcosa del genere insomma. A una certa ora poi, se non sbaglia c'è anche qualche salotto televisivo dove si parla di politica. Un pò di informazione non fa mai male," pensa compiaciuto il signor Brembilla. Poi se a condurre è Bruno Vespa lui preferisce perché gli sembra il più equilibrato e il più imparziale di tutti. Con sua moglie è riuscito persino a litigare per difendere Bruno Vespa, qualche settimana fa. Lui aveva detto che Bruno Vespa, secondo lui, era il miglior giornalista italiano e quella cafona idealista di sua moglie gli aveva risposto che definire Bruno, così lo aveva chiamato:Bruno, come se fosse stato suo fratello; sì insomma gli aveva risposto che definire Bruno un giornalista era già un complimento; per di più considerarlo il migliore in Italia era la dimostrazione definitiva della sua incapacità di ragionamento. Se non capiva niente di nulla era inutile ascoltare i dibattiti in televisione: tanto valeva che continuasse a guardare i commenti delle partite sulle emittenti private. Lui aveva controbattuto con prontezza e senza esitazioni che lei ragionava da comunista e che il comunismo era fallito già da parecchi anni perché formato da teste di cazzo come lei. Sua moglie sembrava aver accusato il colpo e tacque per qualche minuto. Poi gridando come un'ossessa dalla camera da letto rispose: "Cosa cazzo c'entra il comunismo con quello che stavo dicendo?"
Stasera comunque sua moglie è con la  vicina e non potrà disturbarlo con i suoi commenti preconcetti e quando tornerà si metterà a leggere in camera da letto e dopo poco, come al solito si addormenterà. "Eh sì," riflette il signor Ludovico Brembilla; "In questo paese c'è l'abitudine di additare come colpevoli le persone più visibili e che hanno successo. Come se fosse una colpa. Se si pensasse a risolvere veramente i problemi seri come l'immigrazione, le tendenze omosessuali che oramai vengono accettate come normali , la droga e soprattutto se ci fosse la volontà di mettere il bavaglio o comunque di trascurare certi personaggi che istigano i ragazzi alla violenza nelle piazze...stanno a pensare a quello che uno fa nella sua camera da letto e poi giustificano un'accozzaglia di delinquenti che assaltano i blindati delle forze dell'ordine. Roba da non crederci."
Mentre pensa tutte queste cose sullo schermo scorrono le immagini di Simona Ventura che con la solita voce stridula invita uno dei naufraghi a dare la sua nomination e il signor Brembilla piano piano si allontana dai tediosi pensieri e ritorna ad assaporare quella sensazione di quiete casalinga che da sempre adora. Ogni tanto fa zapping e guarda cosa c'è sugli altri canali, alza un libro della moglie leggendone il titolo, sposta la tazza ormai vuota dove ha bevuto la tisana da destra a sinistra del tavolino un paio di volte, si alza in piedi per verificare se i muscoli sono intorpiditi. Ad un certo punto inizia ad osservare con insistenza le sue pantofole nuove e dopo una buona manciata di secondi nota che l'orecchio destro del coniglio grigio della sua pantofola sinistra è leggermente più corto degli altri tre orecchi. Sia dei due del coniglio della pantofola destra, sia di quello sinistro del coniglio della pantofola sinistra. "Strano," pensa. "Quando le ho comprate non me ne sono accorto." Poi l'attenzione ritorna a focalizzarsi sulle trasmissioni televisive: il protagonista del film dei nazisti ha una svastica enorme sul pettorale sinistro e con una pistola in mano sta per schiacciare la testa a un negro contro il gradino di un marciapiede. Appena il signor Brembilla capisce cosa sta per accadere cambia canale di scatto: lui non ha mai sopportato la violenza. Meglio la partita. Il Milan sta pareggiando 0-0 al White Hart Lane contro il Tottenham e questo risultato lo eliminerebbe agli ottavi della Champions League ma c'è ancora tempo infatti siamo solo al 10' del primo tempo. "Che goduria se finisse così," pensa trasalendo senza accorgersene il signor Brembilla; infatti lui è un tifoso dell'Inter da quando aveva 6 anni. E così decide di guardare la partita che è appena iniziata. Mentre Pato parte dalla sua metacampo palla al piede e sta per essere steso da un difensore inglese lo sguardo del signor Brembilla ricade nuovamente sull'orecchio destro del coniglio della pantofola sinistra. "Che peccato però," pensa il signor Brembilla, "Non essermi accorto prima di andare alla cassa di questo lieve difetto. Forse se gliele porto indietro domani me le cambiano...ma no poi magari mi fanno delle storie e dicono che sono stato io a rovinarlo e poi magari io mi arrabbio ed inizio ad alzare la voce perché col mio caratteraccio...poi magari mi accusano anche di volere soltanto farmi notare e di essere un esibizionista frustrato. Meglio lasciar perdere, dopotutto è solo un paio di pantofole da 8 euro". Riappacificatosi coi suoi pensieri il Brembilla torna con riacquisita serenità alla visione del match. Non un granchè per la verità. Così dopo un quarto d'ora decide di fare una carrellata per vedere se trova qualcosa di meglio. Su Rete 4 c'è "Quarto Grado," con il cinghialesco Salvo Sottile a suo agio tra psichiatri, criminologi, tuttologi ed opinionisti. Si parla del delitto di Sarah Scazzi. Proprio come la puntata precedente. "Certo che riguardo alla vicenda di questa ragazzina i mezzi televisivi stanno dando un'informazione incredibilmente efficiente." Pensa il signor Ludovico Brembilla mentre da un'occhiata furtiva all'orecchio destro del coniglio di quella cavolo di pantofola. "Poi quel salvo Sottile mi da un senso di familiarità, insomma mi è simpatico...e soprattutto sa fare perfettamente il suo lavoro. Anche qui vedi...se le persone come mia moglie e le sue amichette  facessero riferimento anche alle cose buone oltre che alle cose negative...si critica l'informazione italiana, si dice spesso che i giornalisti speculano sulle disgrazie altrui, che siamo sommersi dall'immondizia televisiva...questa trasmissione è un esempio di come si fa informazione. Se non fosse per loro la bambina probabilmente nemmeno la avrebbero trovata dico io." Il signor Brembilla però fatica a seguire un programma soltanto perché è curioso da quando era bambino, così cambia nuovamente canale e il suo sguardo si sofferma su un ragazzo col cappellino girato al contrario che parla con accento napoletano e afferma di avere iniziato a farsi le canne quando aveva 11 anni e a tirare di coca quando ne aveva 13. "E' il solito dossier di denuncia sociale." Pensa sogghignando il nostro già più volte citato cittadino. "Farsi le canne a 11 anni invece di andare a giocare a pallone o pensare alle ragazzine della tua età...deficiente." Pensa il signor Brembilla sconcertato. "Se invece di farli stare davanti alla televisione fino a notte fonda ed iniziare a farli uscire da soli a 10 anni i genitori pensassero ad educare i loro figli come Dio comanda, con qualche schiaffone quando serve...tutto questo non succederebbe. Poi a noi cittadini onesti ci tocca anche mantenerla questa gente eh. E li fanno passare anche per vittime." L'intervista al ragazzino drogato interessa al signor Ludovico, che vuole vedere fino a dove questo piccolo futuro delinquente riesce ad arrivare nella descrizione delle sue giornate. Solo dopo parecchi minuti viene a conoscenza del fatto che il ragazzino in questione è rimasto orfano a 3 anni del padre, ucciso dalla camorra e dopo pochi mesi anche della madre, morta di infarto. Rimanendo di fatto con il solo zio materno, peraltro semi-infermo ad accudirlo. "Forse ho dato un giudizio troppo affrettato," pensa "Ma questo non giustifica comunque una tale condotta di vita. Se venissi a scoprire che mia figlia o mio figlio si sono fatti una canna non so cosa gli farei. Non ho figli ma qualora ne dovessi avere stai tranquillo che ci penserebbero non due ma dieci volte prima di fare certe cose." A questo punto però la trasmissione ha perso di fascino e il signor Brembilla cambia nuovamente canale. Nel farlo, quasi non si accorge di dare un'altra sbirciatina velocissima, quasi impercettibile a quel dannato orecchio del coniglio di quella pantofolaccia. O meglio se ne accorge ma solo dopo averlo fatto. E si innervosisce. Si innervosisce del fatto di non essersi accorto subito di aver guardato volutamente, anche se solo per un istante, la pantofola a forma di coniglio. "Meglio non pensarci." Pensa, "E' pur sempre un oggetto." "Non c'è bisogno di essere ricchi per comprarsi due paia di pantofole in due giorni e se la cosa mi da tanto fastidio domani ne comprerò altre tre paia. Tutte della stessa marca, nello stesso negozio e tutte con lo stesso maledetto coniglio grigio come protagonista," Pensa affannosamente il signor Brembilla che nel frattempo ha iniziato a sudare copiosamente. "Meglio... meglio cambiare canale e trovare una trasmissione accattivante prima che mia moglie torni e mi disturbi con il rumore dei tacchi. Stasera sono particolarmente nervoso e forse e meglio se quando rientra non ci incrociamo proprio ( guarda di scatto il coniglio) e poi...non sopporterei uno dei suoi beffardi commenti su quale trasmissione sto guardando ecco. Il signor Brembilla continua a cambiare assiduamente canale con tocco energico senza più soffermarsi. Adesso il suo sguardo è rivolto allo schermo, ma la sua mente è altrove. Se ne accorge. Dopo chissà quanti minuti ma se ne accorge. Si accorge di fare una cosa senza pensare di farla; così, in modo meccanico. E mentre la fa pensa ad altro. Pensa a quel fottuto coniglio mezzo monco che gli sta rovinando la serata. Mentre pensa questo però il campanello suona due volte: è sua moglie che è uscita senza chiavi. Il signor Brembilla si alza dal divano di scatto e con passo felpato percorre il corridoio di casa e va ad aprire la porta alla moglie; poi voltandole le spalle senza nemmeno averla guardata torna di corsa davanti alla tv. "Certo che in questa casa è sempre più piacevole il dialogo vero caro?" Sua moglie sarcastica mentre si spoglia in camera da letto. Ma il signor Brembilla non risponde. Ha troppe cose a cui pensare e non è certo il momento di litigare. Dopo una ventina di minuti Mariangela già dorme e lui può continuare a guardare indisturbato la televisione anche perché ha saputo in ufficio da un collega che c'è la crisi in Libia e la Libia è uno dei paesi che rifornisce di petrolio l'Italia, quindi vuole essere aggiornato sulla vicenda. "Se quelli decidono di fare la rivoluzione c'è il rischio di una crisi petrolifera e poi con il rincaro benzina chi ci rimette? Sempre i soliti, è ovvio." Pensa il preoccupato signor Brembilla asciugandosi la fronte ormai grondante. "Non basta che vengano qui in Italia a creare disordini, adesso si ribellano anche nei confronti del loro governo. Ghedaffi, Gheddafi lì...come si chiama...gli è andato bene per quarant'anni...e adesso si sono improvvisamente svegliati e vogliono cambiare. Quando lo dico che sono diversi, che hanno un'indole violenta, forse non ho tutti i torti.Girano per la città con mitra e fucili. Guarda lì. Fanno presto quelle a criticare e a darmi dello xenofobo senza neanche sapere il significato della parola peraltro...ma quando saremo invasi da questa gente qui vedremo allora se non mi daranno ragione!" Questo pensa il signor Brembilla mentre le immagini della guerra civile libica scorrono impietose sullo schermo. E mentre pensa alla sommossa popolare in Libia il suo sguardo si sofferma ancora una volta su quel dannatissimo muso di stoffa grigia con quell'orecchio semi-mozzato difetto di fabbrica. "E' arrivato il momento di dare una fine a questo tormento; di prendere una decisione netta." Pensa l'esausto signor Brambilla, che senza esitazioni si sposta in cucina dove da un cassetto prende una forbice mezza arrugginita che ammira con espressione estatica. "Adesso la facciamo finita con questa presa per il culo." E si reca nuovamente in salotto per mozzare definitivamente l'orecchio difettoso del coniglio insolente. Come torna nel salotto però non trova più le pantofole e di conseguenza inizia a temere di non potere più mozzare quel maledetto orecchio. "E' scappato!" Pensa il signor Brembilla tremando. "Ha capito tutto e si è dato alla fuga quel malefico." Poi guarda verso il basso e si accorge che le pantofole sono calzate dai suoi piedi. "Che idiota!" Pensa con un sogghigno isterico il signor Ludovico. "Le ho indosso; per forza sono un paio di pantofole è ovvio che io le abbia addosso." Questo maledetto coniglio mi sta facendo perdere l'equilibrio mentale". Realizzato ciò impugna le forbici e con un taglio secco mozza il tanto odiato orecchio del coniglio. Getta l'orecchio dalla finestra, si rimette la pantofola e guardandola soddisfatta esclama: "Meglio senza che a metà!" Adesso il tormento è finito una volta per tutte e il signor Brembilla può tornare a sedersi anche se forse sarebbe ora di andare a dormire; domani dovrà alzarsi alle 6:30 per andare a lavorare. Decide di dare ancora un'occhiata veloce ai programmi televisivi e mentre abbassa il volume data l'ora tarda sente un lamento venire dal basso. E' un lamento flebile e continuo e più lo ascolta più diventa straziante. Il signor Brembilla inizia ad agitarsi; non capisce da dove possa provenire. Dal piano inferiore non è possibile perché il condominio sottostante il suo è vuoto da parecchi mesi. Allora si affaccia alla finestra e fuori non c'è un'anima viva; neppure una macchina di passaggio.Niente! Allora? Si dirige verso la camera da letto e osserva la moglie dalla porta socchiusa: dorme saporitamente. Decide allora di farsi ancora una tisana prima di andare a letto ma mentre versa l'acqua nella pentola sente di nuovo quel lamento. Più forte e più rauco di prima. Rimane per qualche istante immobile prima di avere un sussulto. Il coniglio! "Allora non avevo sbagliato ad ipotizzare che fosse vivo e che non fosse solo un oggetto prima quando credevo che fosse scappato. Si lamenta e soffre proprio come un essere umano perché gli ho tagliato un orecchio. Oppure non soffre e lo fa apposta per prendersi gioco di me? E' certamente più plausibile la seconda ipotesi a mio modo di vedere!" Esclama ad alta voce il signor Brembilla che non si sta accorgendo di urlare ma crede di pensare soltanto ed inizia a correre lungo il corridoio con la pantofola sinistra stretta nella sua mano destra. " Cerca un martello per uccidere il coniglio ma nei cassetti trova solo posate,fazzoletti,album di fotografie e oggetti dimenticati da tempo. In preda all'ansia  decide allora di buttare la pantofola animata dalla finestra ma poi pensa "Abito al secondo piano. E se poi non muore e  quel lamentio mi perseguita per tutta la notte?" Allora accende i fornelli, ci mette sopra la pentola con l'acqua  aspettando che questa diventi bollente per buttarci il coniglio, ma mentre lo fa viene assalito dal terrore che il lamento  ricominci. Allora apre il freezer con veemenza, si sfila la ciabatta e con mano tremante afferra la l'oggetto vivente e lo sbatte in mezzo ai sofficini,agli spinaci e al tacchino del giorno prima comprimendo le confezioni con forza per assicurarsi che oltre a surgelarsi soffochi anche. Poi sbatte lo sportello del freezer e rimane qualche istante in silenzio, terrorizzato ed immobile per essere sicuro che là dentro il coniglio dall'orecchio mozzato non ricominci con la sua lagna insopportabile. "E se durante la notte riesce a divincolarsi, aprire lo sportello e a nascondersi in qualche parte della casa? Continuerebbe a torturarmi di sicuro e lo farebbe ancora più volentieri per vendicarsi di me. Devo fare in modo che non abbia possibilità di scampo!" Così il signor Brembilla prende un tubetto di colla fissante su una mensola nel salotto e torna in cucina. Apre lentamente lo sportello del freezer e riempie di colla i bordi, la parte inferiore e quella superiore utilizzando l'intero tubetto. Poi sbatte nuovamente lo sportello con ancora più violenza rispetto alla volta precedente e torna in salotto, afferra il tavolino dove è solito appoggiare le sue cose mentre guarda la tv e lo trasporta in cucina. Lo attacca al frigorifero, dopodichè va nello sgabuzzino e sposta con fatica un vecchio comodino di ebano che sua moglie stava per buttare via. Lo porta in cucina e lo piazza sopra al tavolino in modo da bloccare l'uscita qualora il coniglio fosse riuscito nell'impresa titanica di liberarsi dei surgelati e forzare lo sportello impregnato di colla potentissima. Il signor Ludovico adesso sembra più tranquillo. Si guarda un pò intorno e sorride. Si, adesso si sente quasi calmo; tuttavia per questa notte forse sarà meglio dormire in cucina...è sempre meglio evitare sorprese. Si sdraia per terra e dopo pochi istanti si addormenta.
Il mattino seguente il signor Brembilla è talmente stanco che non sente nemmeno suonare la sveglia. Non è che non la senta è che sua moglie si è svegliata prima di lui e adesso è da una ventina di minuti sull'uscio della porta della cucina che lo sta osservando. Mariangela si è alzata prima del solito stamattina e non ha visto il marito. "Si sarà addormentato sul divano come l'altra volta quell'idiota." Ha pensato in un primo momento la signora Mariangela. Poi dopo essersi lavata la faccia e i denti è andata in salotto per svegliarlo, ma il marito non c'era. Allora si è avviata verso la cucina per preparare il caffè, pensando che fosse uscito prima del solito e ancor prima di varcare la soglia della porta ecco la visione: il suo caro marito disteso supino sul pavimento in parquet della cucina, sudato marcio e con indosso una pantofola sola. In un primo momento l'istinto è stato certamente quello di urlare, ma prima di emettere qualsiasi suono ha notato l'assetto nuovo della cucina e  la sua mente è arrivata a percepire che c'era qualcos'altro. Così ha taciuto e adesso eccola lì, a fissarlo con aria di commiserazione. La finestra è aperta, su un fornello acceso giace una pentola ormai annerita dal fumo e il frigorifero è bloccato dal tavolino del salotto e da un armadietto che stava per buttare via. "Voglio proprio vedere la sua espressione appena si sveglia e si accorge che lo sto guardando, questo cretino. Ma soprattutto scalpito dalla voglia di sapere da cosa è stata originata  questa opera d'arte!" Dopo altri dieci minuti circa il signor Brembilla finalmente si sveglia e ancor prima di ridestarsi, senza accorgersi che la moglie lo sta guardando grida a squarciagola: "L'ostaggio è dentro al freezer!"

Riccardo R

giovedì 3 marzo 2011

Pasolini: riflessioni tra presente e passato.

" Il fascismo, il regime fascista non è stato altro che un gruppo di criminali al potere e questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente. Non è riuscito a incidere,nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell'Italia. Ora invece succede il contrario. Il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella aculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce a ottenere perfettamente; distruggendo le varie realtà particolari,togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. Questa aculturazione sta distruggendo in realtà l'Italia. E allora posso dire senz'altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l'Italia. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che in fondo non ce ne siamo resi conto;è avvenuto tutto in questi ultimi cinque,sei,sette dieci anni. E' stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi e sparire e adesso risvegliandoci, forse, da quest'incubo e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c'è più niente da fare".

"Tratto da un documentario della Rai intitolato Pasolini e...la forma della città, andato in onda la sera del 7 febbraio 1974".


Ascoltai questo discorso di Pier Paolo Pasolini per la prima volta 7 anni fa, durante uno speciale di "Blu Notte"condotto da Carlo Lucarelli in cui si ripercorreva la vita e si cercava di trovare una risposta alla morte di un'essere umano coltissimo,coraggioso,scomodo ed infinitamente discusso, ma soprattutto di uno dei più grandi geni che la storia italiana abbia conosciuto nel novecento. Ricordo che rimasi stupito dalla sua lucidità di analisi, dalla consapevolezza trasparente nella forma del suo volto, dalla sua figura drammatica contemporanente presente e trasognata. Ricordo anche che mi chiesi per quale motivo conoscevo così superficialmente l'opera e il profilo di questa persona che tanto aveva inciso nella storia italiana; che aveva scritto poesie, che aveva dedicato elegie al mondo delle borgate romane, che aveva diretto film che distruggevano l'ipocrisia della facciata borghese, che scriveva articoli sul "Corriere della Sera", il quotidiano della grande borghesia milanese, senza guardare in faccia nessuno, che aveva scritto per il teatro e che aveva scritto saggi, che aveva percorso con una versatilità sbalorditiva oltre trent'anni di vita culturale del paese; calunniato, processato innumerevoli volte, messo al bando dal partito comunista e odiato dalla destra per la sua omosessualità ed infine barbaramente assassinato a colpi di bastone su una spiaggia dell'idroscalo di Ostia.
Dopo aver visto il documentario ricominciai a riflettere sul perché di tale carenza. Perché non avevo mai letto nulla di Pasolini e invece avevo divorato quasi l'intera opera di Calvino per esempio? Arrivai quasi subito a una duplice risposta: pigrizia del sottoscritto e semi-boicottaggio mediatico da parte dei mezzi di comunicazione. Proprio quei mezzi di comunicazione che sono l'arma scelta dalla società dei consumi che Pasolini analizza nel brano che ho riportato sopra. Raramente ho visto scorrere una pellicola di un suo film sugli schermi televisivi, difficilmente viene citato il suo nome nei salotti intellettual-politici del grande schermo, mai dalla destra, occasionalmente dalla ( chiamiamola sinistra ) e in modo strumentale. Le rare volte che ho ascoltato un dibattito intellettualmente onesto su Pasolini, sia in televisione che dal vivo i protagonisti non erano d'accordo su niente. Né riguardo alla  figura morale della persona né tantomeno ai contenuti dei suoi scritti o discorsi. Questo è probabilmente dovuto al fatto che  Pasolini era scomodo a tutti o quasi e ancora oggi il suo pensiero e le sue parole sono spesso oggetto di interpretazioni superficiali dettate da pregiudizi di "parte". Pasolini infatti non le mandava a dire e non aveva remore nel criticare sagacemente le doppiezze, le falsità e le nefandezze della società; non aveva timori nell'individuare coloro che riteneva i colpevoli: a qualunque colore politico facessero riferimento e a qualunque dottrina si ispirassero. Non risparmiava nessuno e lo faceva in maniera aspra, asciutta, pungente; riuscendo nonostante questo a mantenere sempre una grande umanità. La verità è che pochissime persone possono commentare Pasolini, perché ogni suo discorso, ogni sua frase rimandano ad altro e quindi presuppongono una conoscenza ampia e approfondita della società italiana; dei suoi costumi, della sua storia, delle sue radici, delle sue contraddizioni e delle sue ipocrisie. Una persona ufficialmente schierata da una qualsiasi parte difficilmente si prenderà la briga di citare Pasolini per dare sostegno alle sue convinzioni, soprattutto se ne conosce anche in maniera vaga il pensiero. Pasolini come è ovvio che fosse spesso sbagliava, partoriva pensieri molto discutibili. Ma lo faceva da uomo libero. E in Italia di uomini liberi, oggi come allora, ce ne sono pochi.
Il discorso che ho trascritto è di un'attualità disarmante. Bisogna tenere conto che all'epoca in cui Pasolini diceva quelle cose la quasi totalità delle persone non aveva la percezione nel vissuto reale del significato delle sue parole. Lui aveva capito in anticipo quello che in realtà si sta verificando oggi: il vero fascismo. Un fascismo apparentemente morbido, privo di mezzi esplicitamente repressivi e violenti nella forma, ma sostanzialmente un "fascismo delle coscienze", che cerca di ridurre tutti gli essere umani assoggettati ad un unico desiderio comune, talvolta un miraggio. Il denaro e il benessere. Quella aculturazione e quella omologazione di cui Pasolini parlava trentasette anni fa sono proprio quelle caratteristiche che affliggono gli esseri umani di oggi, quasi sempre inconsapevoli vittime, svuotate della propria identità culturale.
Dietro a una facciata permissivista questa egemonia moderna cela la costrizione al conformismo, irridendo più o meno apertamente i valori del passato e costruendone continuamente di nuovi, fasulli e superficiali, obbliga l'individuo al perseguimento di un'accettabilità estetica condivisa condannandolo ad un edonismo in continua evoluzione ma fondamentalmente lacerandone la coscienza critica e riducendolo a spettatore passivo.
Certamente una società composta in gran parte da uomini di questo tipo difficilmente può creare problemi al potere costituito. Se ciascuno pensa per sè e si disinteressa dell' "altro", si crea disgregazione e la divisione e l'indifferenza sono quello che il potere ambisce da sempre a creare nelle masse.
Non è difficile accorgersene quando si esce di casa, si va in palestra, al lavoro o si è invitati a cene di compleanno,matrimoni o battesimi. Il valore da difendere e che unisce esteriormente le persone è solamente
la condivisione di un modo di apparire, non di vivere. Ogni discorso o atteggiamento che vada fuori dalle righe invisibili del comunemente accettato viene accolto con diffidenza, fastidio e perplessità. Si critica spesso la società, censurando i mal costumi e la corruzione della politica con argomentazioni vaghe e qualunquiste, ma dopotutto alla maggior parte degli individui interessa di più andare in vacanza per un mese, comprare lo schermo a 40 pollici di nuova generazione o girare per le vie del centro con una Louis Vuitton a tracolla e se potessero scegliere di barattare queste conquiste con un modello di società più equo ed integro non esiterebbero a tenersi quello che hanno. La volontà di anteporre le proprie comodità ed il proprio benessere al bene comune è sempre esistita, non è certo un atteggiamento comparso negli ultimi 30 anni; ma negli ultimi anni si sta sempre più consolidando e soprattutto autogiustificando.
Pasolini aveva capito con largo anticipo che il nuovo potere capitalista avrebbe ottenuto quello che voleva, cioè la massificazione culturale attraverso nuovi metodi, meno traumatici e più direttamente indiretti.
Il 2 novembre 1975, quando il corpo massacrato di Pier Paolo Pasolini venne ritrovato da una donna buona parte della coscienza critica di un paese morì insieme a lui. Il delitto fu presto attribuito a Pino Pelosi, un ragazzino di diciasette anni che aveva passato la serata con Pasolini e che si dichiarò subito colpevole.
La ricostruzione dell'accaduto da parte del confesso assassino tuttavia presentava molti dubbi ed evidenti contraddizioni. Il bastone marcio, unico oggetto contundente trovato sul luogo del delitto non avrebbe potuto in alcun modo ridurre in quello stato il corpo di Pasolini, inoltre Pelosi era un ragazzino di 17 anni, piuttosto esile, e sul suo corpo non si presentava neanche una ferita. In una colluttazione inoltre, Pelosi non avrebbe certamente potuto ridurre in quello stato Pasolini, che non era un gigante ma era un uomo nervigno e allenato, tantomeno con un pezzo di legno consunto o addirittura a mani nude.
Nonostante questo l'opinione pubblica fu presto messa all'oscuro riguardo all'andamento delle indagini che confermarono la colpevolezza di Pino Pelosi, il quale continuò a sostenere la sua versione fino al 2005, anno in cui durante un'intervista televisiva cambiò la sua precedente versione dei fatti, affermando che l'omicidio di Pasolini sarebbe stato commesso da altre tre persone. Dopo tali dichiarazioni fu aperta la terza inchiesta sul caso, praticamente chiusasi ancor prima di iniziare nell'indifferenza generale,  per mancanza di indizi.
Per la maggior parte dell'opinione pubblica colta o presunta tale quella vicenda era accaduta perché Pasolini era un uomo nel bene e nel male "sopra le righe", e i suoi assassini avevano voluto eliminare una figura fastidiosa; un comunista e un omosessuale. Pino Pelosi probabilmente conosceva i veri assassini ma preferiva andare in prigione piuttosto che dire la verità semplicemente per paura di una vendetta nei suoi confronti e lo Stato aveva accolto quest'omicidio tacitamente come una sorta di favore. Caso archiviato sia dalla legge che dalla coscienza.
Dopo un pò di tempo però si viene a scoprire che un capitolo del libro incompiuto "Petrolio" intitolato "Lampi sull' Eni"  a cui Pasolini stava lavorando nel periodo precedente alla sua morte è sparito. Il capitolo in questione riguarda l'Eni e la morte di Enrico Mattei, che ne era presidente. Il giudice Vincenzo Calia, che indaga sulla morte di Mattei arriva alla conclusione che a tirare realmente i fili all'interno dell'Eni è un'altra figura: Eugenio Cefis, uomo privo di scrupoli, dalla personalità antitetica a quella del presidente dell'Eni e dai metodi più "liberisti". Pasolini conosceva nomi e cognomi dei mandanti delle stragi terroristiche, sapeva cosa si nascondeva all'interno dello "Stato nello Stato". Aveva compreso che l'obiettivo della strategia della tensione non era quello di destabilizzare, ma di consolidare e di mantenere immutato un potere a cui facevano capo Licio Gelli e lo stesso Eugenio Cefis. Probabilmente, anzi sicuramente Pasolini sapeva troppo.

RiccardoR
 


Il Sushi Dimezzato © 2008. Design by: Pocket