lunedì 21 marzo 2011

CRONACHE DI UN VENDITORE FOLLE "Acquisire, dimostrare, vendere".

Tutto è cominciato una sera di settembre del 2007 alla Festa dell'Unità di Genova: stavo vagando solitario tra uno stand e l'altro con una birra media in mano e mi stavo chiedendo da un pezzo cosa ci facessi lì. Ero da circa in mese tornato da Londra, dove avevo lavorato in alcuni ristoranti come aiuto-cuoco per mantenermi, o meglio per sopravvivere, nella capitale inglese insieme alla mia ormai ex ragazza e non riuscivo proprio a riavvolgere il filo. I miei amici di un tempo avevano cambiato tram tram, le serate nei vicoli che tanto mi avevano divertito in passato erano ormai una ripetizione forzata, un'abitudine anacronistica di un tempo che non c'era più ed io mi stavo autocompiacendo della mia solitudine. Mentre stavo fissando un panzone con la camicia pezzata che addentava un panino con la porchetta sento improvvisamente urlare il mio soprannome:"Ah Reggio!" Mi guardo un pò intorno e noto una sagoma in giacca e cravatta con le mani in aria dietro allo stand della Folletto: "E' lui o non è lui?" Penso immediatamente. Mi avvicino e in un attimo mi rendo conto che è proprio lui: Francesco Selis. Io e Francesco da ragazzini abitavamo nello stesso quartiere e per due anni abbiamo giocato insieme nella stessa squadra di calcio. Poi di lui, per dieci anni circa nessuna notizia, se non quella che aveva fatto carriera al folletto. E adesso eccomelo lì davanti : "Oh Reggio, come va? " mi chiede.  "Di merda! Mi fa piacere rivederti ma sinceramente va abbastanza di merda!" gli rispondo io.  E gli racconto velocemente la situazione. Dopo avermi ascoltato Francesco mi propone un colloquio con un responsabile dell'azienda, aggiungendo con tono estremamente convinto che lui da quando lavora al folletto si è tolto un sacco di soddisfazioni, economiche e professionali. Dice anche di aver provato a cambiare lavoro e di essere diventato capo reparto in un supermercato, ma la vendita gli dava più andrenalina, così è tornato sui suoi passi. Sapevo che quello che mi stava dicendo non era inventato, ma sapevo anche che Francesco aveva un carattere completamente diverso dal mio; inoltre avevo già conosciuto parecchie persone reduci da un'esperienza lavorativa con il folletto e tutte ne erano uscite, a loro dire, frustrate e deluse, se non sull'orlo di una crisi di nervi. Pensai che non era un lavoro adatto a me, ma simulai entusiasmo ed accettai senza esitazioni lasciandogli il mio recapito.
Il giorno seguente nel primo pomeriggio ricevo una telefonata sul cellulare da un tale che si presenta come Fabio Moretti e dice di essere il responsabile della vendita Vorwerk nell' Area Liguria. Io fingo nuovamente entusiasmo ed impostando il tono della voce rispondo ad alcune sue domande riguardo alla mia opinione sulla vendita diretta. Dopo poco Moretti mi chiede se sono interessato ad approfondire la cosa in ufficio, io ovviamente rispondo di sì.
Appena entrato nell'ufficio commerciale della Vorwerk Folletto un impiegato stempiato con una pila di fogli in mano mi indica con la penna di dirigermi a destra. Alla mia destra c'è un breve corridoio con una sfilza di sedie disposte lungo una delle pareti e, in fondo ad esso, un gruppetto di persone, tra cui una ragazza bionda e tarchiata che sta fissando il soffitto. Mi presento alla apparentemente poco euforica combriccola e subito dopo, forse condizionato dal fatto che tutti stanno guardando in una direzione diversa e senza fiatare, mi siedo e aspetto di essere chiamato. Dopo un numero imprecisato di secondi noto che la parete dietro di me è interamente tappezzata di lavagne magnetiche, su ciascuna delle quali sono sistemate delle targhette con dei cognomi. Non solo: ogni cognome è seguito da una serie di palline rosse. Alcuni  ne hanno sessanta, ottanta, addirittura cento, mentre altri solamente quattro o cinque. Dando per scontato che i cognomi appartengano ai venditori operanti nella zona non riesco ad immaginare cosa possano indicare tutte quelle palline...poi fissando la parete che avevo di fronte inizio a leggere una serie di solgan aziendali che fino a quel momento mi erano sfuggiti: "Acquisire, Dimostrare, Vendere", oppure "Il lavoro di gruppo rende l'agente felice", e ancora "Tenacia, Ambizione, Competenza: le prerogative dell'agente Folletto." A questo punto comincio a capire che quelle palline riguardano i risultati di vendita e proprio in quel momento un uomo intorno ai quarantacinque anni sbuca dalla porta del suo ufficio chiamando il mio nome con tono deciso: "Reggiani!"
Il discorso introduttivo del Capo Distretto è quasi commovente: se fossi capitato in quel posto in qualunque altro momento della mia vita avrei certamente avuto un rigetto violento ed immediato, ma quel giorno, chissà per quale motivo la cosa mi affascina. Salemi esordisce con un monologo autocelebrativo di presentazione aziendale, tessendo le lodi del prodotto leader da oltre 70 anni nel mercato degli aspirapolvere etc. Terminata la fase introduttiva vuole sapere qualcosa in più su di me, dicendomi di essere rimasto incuriosito dal mio curriculum, in particolar modo dai miei svariati hobbies ed inizia a farmi alcune domande per verificare se veramente ho così tanti interessi oppure se sono un contapalle che scrive cazzate su un foglio solo per darsi un tono ed impressionare. Avendo letto che tra le mie passioni ci sono la lettura, la musica e la cucina mi chiede con sguardo malizioso di Dostoevskij, Kundera e Gioachino Rossini ( che erano citati sul curriculum ) e vuole sapere nei dettagli come preparo alcune ricette. Mentre sto rispondendo alle sue domande, intuisco subito che probabilmente l'unica cosa che quell'uomo ha letto in vita sua è  l'opuscolo mensile aziendale che tiene in bella mostra sulla sua scrivania, così inizio a dire un sacco di stronzate, per vedere se mi corregge. Gli dico che Kundera è uno scrittore dell'Ottocento e che il suo capolavoro è considerato "La Montagna Incantata" e che l'opera più celebre di Rossini è "Il Falstaff". Moretti non batte ciglio e mi guarda con una certa ammirazione. Quando poi mi chiede quanti libri leggo in un anno ed io gli rispondo circa un centinaio sbarra gli occhi. Esprime la sua stima nei miei confronti per la mia iniziativa di essere stato a Londra per lavoro etc,etc, ma ad un certo punto si blocca e cambia espressione esclamando: "Adesso che ci siamo conosciuti però è il momento di parlare di cose serie:questo è un lavoro per gente con le palle. Qui si parla di vendita, vendita diretta. Questo lavoro è faticoso e mette in gioco molte energie e molte capacità. La Vorwerk è un'Azienda  di business, che fa fatturato: qui quello che conta non è quello che sei, ma quello che fai. Se poi tu hai tanti interessi tanto di cappello, ma questo lavoro lo può fare l'ex imbianchino, come l'intellettuale, come quello che ha solo la licenza elementare. Qui servono motivazione, serietà e costanza. Apprezzo molto il tuo modo di presentarti: si vede che sei una persona che sa stare in società e parli con una certa proprietà di linguaggio; e a questo punto mi vieni spontaneo chiedermi per quale motivo a 29 anni tu non abbia trovato ancora un lavoro stabile. Probabilmente non ti è ancora capitata l'occasione giusta, oppure non ti sei impegnato troppo...beh, qui l'opportunità c'è! Ovviamente sono richiesti dei sacrifici, ma come ben saprai  nessuno ti regala niente e difficilmente troverai in giro un'altra azienda che senza richiedere competenze di alcun tipo ti permette di realizzarti come accade da noi.
Si, si lo so già cosa stai pensando: " Eh ma bisogna andare in giro a suonare alle porte, bisogna vendere e non è mica così facile, poi c'è la crisi, la gente è diffidente etc,etc...palle!". In Folletto riesce chi ha volontà, tutto il resto non conta nulla: solo chiacchiere! Ho già fatto quattro colloqui questa mattina: arrivano qui titubanti, mezzi scoglionati...gli proponi un lavoro e sembra che ti stiano facendo un favore ad ascoltarti...quando poi gli spieghi che qui si deve vendere li vedi cascare dalle nuvole, come se fosse un'impresa impossibile. Qui abbiamo bisogno di gente motivata, sveglia, che vuole mettersi in gioco. Io faccio questo lavoro da quando avevo 21 anni e adesso ne ho 43; non mi risulta che per vendere il folletto serva una bacchetta magica o chissà quale incantesimo. Quello che bisogna fare è andare da tutti i potenziali clienti, entrarci in casa per fargli vedere il prodotto e far loro capire - non convicerli ma far loro capire - che ne hanno bisogno: a quel punto hanno già firmato. Acquisire, vendere, dimostrare, molto semplice. Tu hai tutto: hai una buona presenza, hai viaggiato, denoti una certa cultura; non c'è un motivo per cui non puoi fare questo lavoro. Cosa ti manca? Domani mattina inizia un breve stage di tre giorni che si svolgerà in questa sede a cura di un mio collega. Ci conto!".
I tre giorni di corso passarono piuttosto velocemente: a tenerlo era Sforza, un altro capo distretto della Zona, apparentemente più giocoso ed autoironico del Salemi. Il momento saliente fu quando a ciascuno di noi venne richiesto di alzarsi in piedi e presentarsi di fronte agli altri: un previsto quarto d'ora di imbarazzo che tuttavia risultò essere quasi divertente. Per il resto durante i tre giorni di incontro Sforza ci presentò il profilo dell'Azienda e le caratteristiche tecniche del prodotto, alla fine dei quali stabilì che quella dell'agente folletto non era semplicemente un'attività lavorativa ma una vera e propria "filosofia di vita": un concetto che mi fece sorridere e che avrei compreso solamente in seguito.
Terminati i tre giorni fui scelto insieme ad altri quattro ragazzi e alla ragazza tarchiata, che era la più convinta di tutti: quando qualcuno dei prescelti accennava ad un dubbio lei lo sgridava dicendo che era un'occasione irripetibile e quando io una volta le chiesi, spinto dalla curiosità, qual'era il motivo che la rendeva così sicura di riuscire ad avere successo mi rispose che lei, a differenza della maggior parte dei presenti, evidentemente possedeva quella cosa che si chiama "cultura del lavoro". Una settimana dopo il suo esordio in azienda non si ebbero più notizie di lei.

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