giovedì 3 marzo 2011

Pasolini: riflessioni tra presente e passato.

" Il fascismo, il regime fascista non è stato altro che un gruppo di criminali al potere e questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente. Non è riuscito a incidere,nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell'Italia. Ora invece succede il contrario. Il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella aculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi, invece riesce a ottenere perfettamente; distruggendo le varie realtà particolari,togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l'Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato. Questa aculturazione sta distruggendo in realtà l'Italia. E allora posso dire senz'altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l'Italia. E questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che in fondo non ce ne siamo resi conto;è avvenuto tutto in questi ultimi cinque,sei,sette dieci anni. E' stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l'Italia intorno a noi distruggersi e sparire e adesso risvegliandoci, forse, da quest'incubo e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c'è più niente da fare".

"Tratto da un documentario della Rai intitolato Pasolini e...la forma della città, andato in onda la sera del 7 febbraio 1974".


Ascoltai questo discorso di Pier Paolo Pasolini per la prima volta 7 anni fa, durante uno speciale di "Blu Notte"condotto da Carlo Lucarelli in cui si ripercorreva la vita e si cercava di trovare una risposta alla morte di un'essere umano coltissimo,coraggioso,scomodo ed infinitamente discusso, ma soprattutto di uno dei più grandi geni che la storia italiana abbia conosciuto nel novecento. Ricordo che rimasi stupito dalla sua lucidità di analisi, dalla consapevolezza trasparente nella forma del suo volto, dalla sua figura drammatica contemporanente presente e trasognata. Ricordo anche che mi chiesi per quale motivo conoscevo così superficialmente l'opera e il profilo di questa persona che tanto aveva inciso nella storia italiana; che aveva scritto poesie, che aveva dedicato elegie al mondo delle borgate romane, che aveva diretto film che distruggevano l'ipocrisia della facciata borghese, che scriveva articoli sul "Corriere della Sera", il quotidiano della grande borghesia milanese, senza guardare in faccia nessuno, che aveva scritto per il teatro e che aveva scritto saggi, che aveva percorso con una versatilità sbalorditiva oltre trent'anni di vita culturale del paese; calunniato, processato innumerevoli volte, messo al bando dal partito comunista e odiato dalla destra per la sua omosessualità ed infine barbaramente assassinato a colpi di bastone su una spiaggia dell'idroscalo di Ostia.
Dopo aver visto il documentario ricominciai a riflettere sul perché di tale carenza. Perché non avevo mai letto nulla di Pasolini e invece avevo divorato quasi l'intera opera di Calvino per esempio? Arrivai quasi subito a una duplice risposta: pigrizia del sottoscritto e semi-boicottaggio mediatico da parte dei mezzi di comunicazione. Proprio quei mezzi di comunicazione che sono l'arma scelta dalla società dei consumi che Pasolini analizza nel brano che ho riportato sopra. Raramente ho visto scorrere una pellicola di un suo film sugli schermi televisivi, difficilmente viene citato il suo nome nei salotti intellettual-politici del grande schermo, mai dalla destra, occasionalmente dalla ( chiamiamola sinistra ) e in modo strumentale. Le rare volte che ho ascoltato un dibattito intellettualmente onesto su Pasolini, sia in televisione che dal vivo i protagonisti non erano d'accordo su niente. Né riguardo alla  figura morale della persona né tantomeno ai contenuti dei suoi scritti o discorsi. Questo è probabilmente dovuto al fatto che  Pasolini era scomodo a tutti o quasi e ancora oggi il suo pensiero e le sue parole sono spesso oggetto di interpretazioni superficiali dettate da pregiudizi di "parte". Pasolini infatti non le mandava a dire e non aveva remore nel criticare sagacemente le doppiezze, le falsità e le nefandezze della società; non aveva timori nell'individuare coloro che riteneva i colpevoli: a qualunque colore politico facessero riferimento e a qualunque dottrina si ispirassero. Non risparmiava nessuno e lo faceva in maniera aspra, asciutta, pungente; riuscendo nonostante questo a mantenere sempre una grande umanità. La verità è che pochissime persone possono commentare Pasolini, perché ogni suo discorso, ogni sua frase rimandano ad altro e quindi presuppongono una conoscenza ampia e approfondita della società italiana; dei suoi costumi, della sua storia, delle sue radici, delle sue contraddizioni e delle sue ipocrisie. Una persona ufficialmente schierata da una qualsiasi parte difficilmente si prenderà la briga di citare Pasolini per dare sostegno alle sue convinzioni, soprattutto se ne conosce anche in maniera vaga il pensiero. Pasolini come è ovvio che fosse spesso sbagliava, partoriva pensieri molto discutibili. Ma lo faceva da uomo libero. E in Italia di uomini liberi, oggi come allora, ce ne sono pochi.
Il discorso che ho trascritto è di un'attualità disarmante. Bisogna tenere conto che all'epoca in cui Pasolini diceva quelle cose la quasi totalità delle persone non aveva la percezione nel vissuto reale del significato delle sue parole. Lui aveva capito in anticipo quello che in realtà si sta verificando oggi: il vero fascismo. Un fascismo apparentemente morbido, privo di mezzi esplicitamente repressivi e violenti nella forma, ma sostanzialmente un "fascismo delle coscienze", che cerca di ridurre tutti gli essere umani assoggettati ad un unico desiderio comune, talvolta un miraggio. Il denaro e il benessere. Quella aculturazione e quella omologazione di cui Pasolini parlava trentasette anni fa sono proprio quelle caratteristiche che affliggono gli esseri umani di oggi, quasi sempre inconsapevoli vittime, svuotate della propria identità culturale.
Dietro a una facciata permissivista questa egemonia moderna cela la costrizione al conformismo, irridendo più o meno apertamente i valori del passato e costruendone continuamente di nuovi, fasulli e superficiali, obbliga l'individuo al perseguimento di un'accettabilità estetica condivisa condannandolo ad un edonismo in continua evoluzione ma fondamentalmente lacerandone la coscienza critica e riducendolo a spettatore passivo.
Certamente una società composta in gran parte da uomini di questo tipo difficilmente può creare problemi al potere costituito. Se ciascuno pensa per sè e si disinteressa dell' "altro", si crea disgregazione e la divisione e l'indifferenza sono quello che il potere ambisce da sempre a creare nelle masse.
Non è difficile accorgersene quando si esce di casa, si va in palestra, al lavoro o si è invitati a cene di compleanno,matrimoni o battesimi. Il valore da difendere e che unisce esteriormente le persone è solamente
la condivisione di un modo di apparire, non di vivere. Ogni discorso o atteggiamento che vada fuori dalle righe invisibili del comunemente accettato viene accolto con diffidenza, fastidio e perplessità. Si critica spesso la società, censurando i mal costumi e la corruzione della politica con argomentazioni vaghe e qualunquiste, ma dopotutto alla maggior parte degli individui interessa di più andare in vacanza per un mese, comprare lo schermo a 40 pollici di nuova generazione o girare per le vie del centro con una Louis Vuitton a tracolla e se potessero scegliere di barattare queste conquiste con un modello di società più equo ed integro non esiterebbero a tenersi quello che hanno. La volontà di anteporre le proprie comodità ed il proprio benessere al bene comune è sempre esistita, non è certo un atteggiamento comparso negli ultimi 30 anni; ma negli ultimi anni si sta sempre più consolidando e soprattutto autogiustificando.
Pasolini aveva capito con largo anticipo che il nuovo potere capitalista avrebbe ottenuto quello che voleva, cioè la massificazione culturale attraverso nuovi metodi, meno traumatici e più direttamente indiretti.
Il 2 novembre 1975, quando il corpo massacrato di Pier Paolo Pasolini venne ritrovato da una donna buona parte della coscienza critica di un paese morì insieme a lui. Il delitto fu presto attribuito a Pino Pelosi, un ragazzino di diciasette anni che aveva passato la serata con Pasolini e che si dichiarò subito colpevole.
La ricostruzione dell'accaduto da parte del confesso assassino tuttavia presentava molti dubbi ed evidenti contraddizioni. Il bastone marcio, unico oggetto contundente trovato sul luogo del delitto non avrebbe potuto in alcun modo ridurre in quello stato il corpo di Pasolini, inoltre Pelosi era un ragazzino di 17 anni, piuttosto esile, e sul suo corpo non si presentava neanche una ferita. In una colluttazione inoltre, Pelosi non avrebbe certamente potuto ridurre in quello stato Pasolini, che non era un gigante ma era un uomo nervigno e allenato, tantomeno con un pezzo di legno consunto o addirittura a mani nude.
Nonostante questo l'opinione pubblica fu presto messa all'oscuro riguardo all'andamento delle indagini che confermarono la colpevolezza di Pino Pelosi, il quale continuò a sostenere la sua versione fino al 2005, anno in cui durante un'intervista televisiva cambiò la sua precedente versione dei fatti, affermando che l'omicidio di Pasolini sarebbe stato commesso da altre tre persone. Dopo tali dichiarazioni fu aperta la terza inchiesta sul caso, praticamente chiusasi ancor prima di iniziare nell'indifferenza generale,  per mancanza di indizi.
Per la maggior parte dell'opinione pubblica colta o presunta tale quella vicenda era accaduta perché Pasolini era un uomo nel bene e nel male "sopra le righe", e i suoi assassini avevano voluto eliminare una figura fastidiosa; un comunista e un omosessuale. Pino Pelosi probabilmente conosceva i veri assassini ma preferiva andare in prigione piuttosto che dire la verità semplicemente per paura di una vendetta nei suoi confronti e lo Stato aveva accolto quest'omicidio tacitamente come una sorta di favore. Caso archiviato sia dalla legge che dalla coscienza.
Dopo un pò di tempo però si viene a scoprire che un capitolo del libro incompiuto "Petrolio" intitolato "Lampi sull' Eni"  a cui Pasolini stava lavorando nel periodo precedente alla sua morte è sparito. Il capitolo in questione riguarda l'Eni e la morte di Enrico Mattei, che ne era presidente. Il giudice Vincenzo Calia, che indaga sulla morte di Mattei arriva alla conclusione che a tirare realmente i fili all'interno dell'Eni è un'altra figura: Eugenio Cefis, uomo privo di scrupoli, dalla personalità antitetica a quella del presidente dell'Eni e dai metodi più "liberisti". Pasolini conosceva nomi e cognomi dei mandanti delle stragi terroristiche, sapeva cosa si nascondeva all'interno dello "Stato nello Stato". Aveva compreso che l'obiettivo della strategia della tensione non era quello di destabilizzare, ma di consolidare e di mantenere immutato un potere a cui facevano capo Licio Gelli e lo stesso Eugenio Cefis. Probabilmente, anzi sicuramente Pasolini sapeva troppo.

RiccardoR

Condividi su Facebook, Twitter o Google Buzz:
Condividi su Facebook Condividi su Twitter Pubblica su Google Buzz

0 commenti:

Posta un commento

 


Il Sushi Dimezzato © 2008. Design by: Pocket